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C&C - Rass. Stampa

IL MATTINO del 23 Febbraio 2005

Scritto il 23/02/2005 da [lavespa] nella categoria [C&C - Rass. Stampa]
PERNUMIA C&C, odori nauseabondi e tanti sospetti La Provincia autorizzò l’avvio dell’attività per recuperare i rifiuti II consulente della ditta difese la trasparenza delle procedure applicate. La C&C è una delle tante aziende attive nel settore del riciclaggio, sorta in attuazione del decreto Ronchi: riceve rifiuti speciali provenienti da industrie chimiche, siderurgiche e termoelettriche, li purifica da elementi dannosi ed infine li converte in manufatti cementizi. In sostanza si tratta di fanghi e sostanze terrose difficili da smaltire perché ad alto contenuto di metalli e solventi. Per mezzo di un sistema brevettato che dovrebbe rendere inerte ogni presenza nociva, i rifiuti così bloccati in un composto molto simile al calcestruzzo, diventano l’ossatura di grandi infrastrutture come strade e ponti. L’inizio delle attività per la C&C si colloca a metà del 2002: viene affittata un’area ai piedi della Statale Adriatica che tra capannoni e spazi scoperti occupa circa 2000 metri quadrati, situata all’incrocio fra Pernumia, Due Carrare e Battaglia, dove un tempo sorgeva il reparto carpenteria della Magrini Galileo. Di fronte si trova il cimitero di Battaglia, a meno di un centinaio di metri più a nord e ad ovest spuntano grappoli di case. Sono i residenti di via Elisea i primi ad accorgersi che sta accadendo qualcosa di anomalo. Nei mesi estivi, soprattutto alle prime luci del giorno, registrano un viavai continuo di mezzi pesanti, carichi fino all’orlo di materiale terroso; si interrogano sui fumi che fuoriescono dalle porte sempre aperte dell’azienda, malgrado l’obbligo di chiusura emanato dal Comune di Pernumia. In certi momenti della giornata l’odore che si sprigiona dall’ex carpenteria è nauseabondo. Riuniti in un comitato spontaneo chiedono e ottengono di far installare dall’Arpav una centralina per la rilevazione degli odori, che per mesi staziona nel piazzale antistante l’azienda. A novembre 2004, dopo un’altra calda estate trascorsa ad osservare i mezzi pesanti in entrata nei cancelli della C&C, a ritirare la biancheria stesa ad asciugare più sporca e puzzolente di prima e a veder scorrere rivoli d’acqua torbida, i cittadini vengono convocati in un’assemblea pubblica dagli amministratori dei Comuni coinvolti. Latitante la Provincia, invitata in qualità di ente che ha rilasciato l’autorizzazione per l’avvio dell’attività di recupero di rifiuti speciali. Si presenta solo Donato Carbone, responsabile di zona dell’Arpav. Il tecnico non può entrare nei dettagli e tenta di spiegare ad un pubblico disincantato quali sono le modalità di lavorazione attuate dalla C&C e come l’Arpav abbia condotto i sopralluoghi su segnalazione dei residenti. I campioni prelevati sono sempre risultati regolari. Meno di una settimana dopo la C&C apre le porte alla stampa. All’interno del capannone principale sono stoccate tonnellate di materiali di diverso colore e aspetto: cumuli di gessi di desolforazione derivanti da centrali termoelettriche, fanghi marroni, grigi e bluastri. Fabrizio Cappelletto, consulente ambientale della ditta, spiega che nei capannoni si riciclano scorie prodotte dalla depurazione di acque industriali, provenienti da insediamenti chimici che impiegano l’acqua per raffreddare i processi produttivi, oppure fanghi di cartiere, acciaierie e forni inceneritori. Se i quantitativi in entrata sono conformi alla legge, vengono ritirati, lasciati decantare nei box e trattati con solfuro di sodio per rendere inerti gli eventuali metalli presenti, il materiale viene infine miscelato con additivi, calce e acqua per creare un conglomerato cementizio unico nel suo genere, il conglocem, alternativo al calcestruzzo, ma più elastico, che ha ottenuto tutti i certificati per la qualità e sicurezza. E prodotto finale è prodotto su commessa, non vi è deposito, quindi non è concesso di vedere che forma prendono i rifiuti riciclati. Cappelletto non nasconde che l’azienda è stata sanzionata per il superamento dei quantitativi di fango fermo nei box, registrato poco dopo l’avvio delle attività, e invita la cittadinanza a voler entrare nella fabbrica. Nei primi giorni di febbraio 2005 scatta una nuova diffida della Provincia, sempre per lo stesso problema e contemporaneamente a Battaglia, in pieno centro lungo la statale, si svolge una manifestazione di protesta organizzata dai Ds contro le emissioni dell’azienda. Cappelletto scende in strada assieme ad alcuni dipendenti. Proclama la trasparenza delle procedure dell’azienda. Il resto è storia di questi giorni. [Nausica Scarpaio]

IL MATTINO del 23 Febbraio 2005

Scritto il 23/02/2005 da [lavespa] nella categoria [C&C - Rass. Stampa]
MONTEBELLUNA Chi è il mercante di rifiuti finito in carcere Fabrizio Cappelletto, il re del riciclaggio tra Treviso, Padova e Venezia Originario di Dolo risultava residente a Montebelluna ma abitava a Mestre Ideatore della maxi truffa e dell’altrettanto grave inquinamento, che lo ha portato in carcere, è Fabrizio Cappelletto, 49 anni, nativo di Dolo, ufficialmente domiciliato a Montebelluna, ma di fatto abitante a Mestre. Separato, padre di due bambine, Fabrizio Cappelletto risulta abitare nel centro montelliano, in via Leonardo Da Vinci, un nuovo complesso, dove però nessuno lo conosce. Le prime notizie ufficiali di Cappelletto vengono dalle visure camerali. Nel 1998 ha aperto a Treviso, in Rivale Filodrammatici la Digamma Srl con un capitale di 103 mila euro. La società ha come oggetto sociale la fornitura di ogni tipo di servizio, dal personale, al marketing, alla gestione di ristoranti. Ma pure il trattamento, il trasporto e lo stoccaggio di rifiuti, compresi quelli pericolosi. Della Digamma Cappelletto è aniministratore unico. Nel 2000 apre a Mira uno stabilimento, in via Foscara a Dogaletto, dove si producono pavimentazioni industriali per esterni e manufatti in calcestruzzo, ma dal 2003 lo stabilimento diventa sede di intermediazione nello smaltimento dei rifiuti. Nel 2002 intanto, nasce la C&C srl, stesso capitale della Digamma, con apertura, un mese dopo dello stabilimento di via Granze a Pernumia (Pd). Anche qui produzione di pavimentazioni industriali e commercio e intermediazione di rifiuti. Ad attirare l’attenzione su di lui non è escluso siano state le tante proteste che hanno accompagnato la nascita delle sue aziende. La C&C Conglomerati Cementizi di Pernumia, nei capannoni dove un tempo era ospitato il reparto carpenteria della Magrini Galileo, aveva subito attirato l’attenzione dei residenti che avevano lamentato odori sgradevoli, fumi sospetti, arrivi di carichi su camion marchiati con il simbolo di pericolo biologico, rivoli d’acqua dal colore poco rassicurante, nonché, fra le donne, fastidiose alterazioni del ciclo mestruale. Riuniti in un comitato i cittadini hanno coinvolto sindaci e consiglieri regionali, inviando denunce ovunque. L’indagine potrebbe essere partita anche così. Un anno fa sono iniziati gli accertamenti su di lui da parte del Corpo Forestale che ieri lo hanno portato nel carcere veneziano di Santa Maria Maggiore. [ha collaborato Nausica Scarparo]

IL MATTINO del 23 Febbraio 2005

Scritto il 23/02/2005 da [lavespa] nella categoria [C&C - Rass. Stampa]
VENEZIA Sequestrati i binari dell’alta velocità Massicciata avvelenata per quattro chilometri ad Arino di Dolo: lavori da rifare Sigilli anche sul cantiere del cavalcavia di via Camerini a Padova e sul parcheggio in area industriale a Granze. Le analisi: inquinamento fuori controllo. Una linea ferroviaria, quella dell’alta velocità Venezia-Milano, che per 4 chilometri è una pericolosa discarica. Un cavalcavia, quello del nuovo raccordo di Padova, che è un concentrato di sostanze tossiche; un piazzale, quello dell’area artigianale di Granze, disseminato di materiali nocivi. Una vera e propria bomba ecologica quella scoperta dagli uomini del Corpo Forestale dello Stato che, coordinati dalla Procura di Venezia, hanno stroncato un traffico illegale di rifiuti. E se gli smaltimenti abusivi sono stati bloccati, comincia ora la seconda fase, altrettanto delicata: valutare i rischi delle opere costruite con i rifiuti pericolosi e bonificare le stesse in tempi rapidi. Anche perché c’è il rischio di inquinamento delle falde. Quattro le grandi opere pubbliche realizzate, secondo gli inquirenti che le hanno sequestrate, con i conglomerati cementizi della C&C: 4 chilometri della linea dell’Alta Velocità Venezia-Milano, nel tratto di Arino (Dolo), il cavalcavia Camerini in zona Arcella a Padova, il piazzale dell’area artigianale-industriale di Granze (Pd) e una strada di Bassette, in provincia di Ferrara. Nei quattro siti sono stati eseguiti i campionamenti che hanno messo in evidenza, nei materiali di costruzione, una quantità di metalli pesanti di gran lunga superiore ai limiti previsti per legge. La conseguenza? Le opere pubbliche in questione sono, secondo gli investigatori, "potenzialmente pericolose". Pericolose per i cittadini che le utilizzano, per i residenti e per i lavoratori che le hanno realizzate. C’è inoltre la possibilità di rilascio di materiali microinquinanti con relativo interessamento delle sottostanti falde acquifere: il danno ambientale assumerebbe in tal caso proporzioni gigantesche. Se le analisi ulteriori confermeranno i dati della Procura, allora, dovrà scattare la bonifica delle aree incriminate. Il che significa lo smantellamento delle opere appena costruite: i materiali dovranno tornare in discarica ed essere resi inerti. Stavolta per davvero. I costi dell’operazione si prospettano enormi, soprattutto per la linea ferroviaria e per il cavalcavia. Alta velocità. Sono quattro i chilometri di massicciata costruiti usando i prodotti C&C. La concentrazione di sostanze come idrocarburi, zinco, piombo e nichel supera i limiti di legge, ma è più contenuta rispetto a quella del cavalcavia di Padova. E questo perché i capitolati d’appalto delle ferrovie sono rigorosi nell’individuazione dei materiali da utilizzare. I rischi per la salute pubblica, però, rimangono inalterati: "C’è una potenziale pericolosità, diffusa nella tratta", ha detto ieri Gianfranco Munari, vicequestore aggiunto del Corpo Forestale. Il tratto dei cantieri Tav sequestrati fa parte della linea ad alta velocità Verona-Venezia lunga circa 100 chilometri. Per il tratto da Verona a Padova è stato individuato un corridoio concluso il 22 marzo 2000. Il tratto Padova-Venezia Mestre attraversa invece otto comuni (Padova, Vigonza, Dolo, Mira, Mirano, Pianiga, Spinea, Venezia) e si sviluppa per circa 24 km in affiancamento nord alla linea ferroviaria esistente. La linea Mestre-Padova (inaugurazione dei cantieri fatta dal ministro Lunardi e dal governatore Giancarlo Galan nel febbraio del 2003), oltre ad essere una linea veloce sarebbe dovuta diventare anche una linea ad alta capacità. Cavalcavia. Ottantaquattro dei 130 campioni eseguiti dal Corpo Forestale hanno interessato il cavalcavia Camerini. Proprio qui, infatti, è stata rilevata la maggiore concentrazione di sostanze inquinanti. Un esempio? La quantità di idrocarburi è di 19 mila mg/kg contro il limite di 750; lo zinco raggiunge quota 7.150 mentre il limite è di poche decine di unità. Gli agenti del Corpo Forestale hanno pertanto sequestrato 60.000 metri quadri dell’area del cantiere della nuova bretella, che dovrà collegare il cavalcavia Camerini con via Guicciardini. E’ il pezzo iniziale del Prusst cosiddetto Arco di Giano. E’ un progetto, formulato già ai tempi della giunta Gottardo- Faleschini negli anni ’80, ripescato dalla giunta Destro e subito bloccato, su sollecitazione dei residenti dell’Arcella, dall’attuale amministrazione. La nuova bretella costa 3 milioni di euro, dei quali 676.000 finanziati dal ministero delle Infrastrutture. Numerosi esposti sono stati presentati da Mario Levante. "I tir che portavano il materiale arrivavano all’alba - dice Levante - I detriti erano grigio scuro e puzzavano". [SabrinaTomè, hanno collaborato Felice Paduano e Alessandro Abbadir]