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IL MATTINO del 5 Marzo 2005

Scritto il 05/03/2005 da [lavespa] nella categoria [C&C - Rass. Stampa]

DOLO Restano agli arresti domiciliari due imprenditori finiti nei guai. Rifiuti tossici, "respinti i ricorsi". (Giorgio Cecchetti) DOLO. Il 9 giugno dello scorso anno la Polstrada blocca sulla A4 un camion: gli agenti, nonostante la velocità fermano il pesante automezzo perchè emana un forte fetore di ammoniaca. Non trasporta contenitori strani, fanghi industriali o altre diavolerie, ma un manufatto in cemento diretto al cantiere in cui sono in corso i lavori per la tratta della Alta velocità ferroviaria di Dolo. Il camion ha caricato il manufatto alla «C&C» di Malcontenta, grazie a quell’insopportabile puzza inizia l’indagine. E ieri il Tribunale del riesame di Venezia ha respinto i ricorsi presentati da due degli imprenditori finiti agli arresti domiciliari assieme al mestrino Fabrizio Cappelletto della «C&C», il padovano Paolo Salvagnin, titolare di due ditte di trasporti, e il riminese Loris Conti, titolare della «Ear srl». I magistrati veneziani hanno ritenuto di tenere sotto sequestro, respingendo anche in questo caso le richieste dei difensori, alcune delle ziende coinvolte, la «Azienda depurazio acque (Ada)» di Conegliano, la «Adriajet» di Cesenatico, la «Nuova Spurghi» di Brescia e la «Niagara» di Poggio Renatico, che secondo il pubblico ministero Giorgio Gava avrebbero consegnato alla «C&C» i rifiuti tossici finiti poi nel cemento e nei manufatti utilizzati per i lavori della ferrovia a Dolo e del cavalcavia a Padova. Nelle motivazioni della prima ordinanza, quella della «Niagara», i magistrati scrivono che gli impianti di Malcontenta e Permunia della ditta di Cappelletto «sono andati costituendo la base organizzativa di una strutturata attività di traffico illecito di rifiuti». Nel cemento e nei manufatti finivano fanghi industriali (a Malcontenta) e scorie di acciaierie e inceneritori (a Permunia). Quando gli agenti del Corpo forestale hanno compiuto le analisi hanno trovato idrocarburi policiclici aromatici, piombo, rame, fluorori, cloruri, nichel, arsenico in grandi concentrazioni. Si trattava, dunque, di rifiuti che non potevano essere riciclati neppure dopo il trattamento, avrebbero dovuto finire in apposite discariche. Invece, gli indagati avrebbero falsificato i dati, facendoli apparire come compatibili al recupero. A incastrare i responsabili ci sono, oltre alle analisi, decine di intercettazioni telefoniche in cui quelli finiti in carcere a molti degli indagati parlano tranquillamente del traffico illecito di rifiuti e di come aggirare i controlli nel frattempo scattati dopo che la polizia stradale aveva bloccato quel camion con il cemento che puzzava di ammoniaca.