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IL MATTINO del 24 Febbraio 2005

Scritto il 24/02/2005 da [lavespa] nella categoria [C&C - Rass. Stampa]

VENEZIA Tutti i segreti della rifiuti connection. Massicciate a rischio cedimento, i materiali della C&C nocivi e inadeguati Fabrizio Cappelletto l’imprenditore che aveva idealo e realizzato il traffico di rifiuti tossici non inertizzati sarà ascoltato stamattina dal Gip Manduzio. Il "mercante di rifiuti", Fabrizio Cappelletto, l’uomo accusato di aver trasformato magicamente scarti pericolosi in arrivo da mezza Italia in materiale edilizio riutilizzato in ogni dove per opere pubbliche ed interventi di viabilità - semplicemente cambiando loro nome e saltando qualsiasi trattamento di legge - sarà il primo ad essere interrogato questa mattina dal giudice per le indagini preliminari Stefano Manduzio, che l’ha fatto finire in carcere su richiesta del pubblico ministero Giorgio Cava. Il titolare della C&C è ritenuto, infatti, dalla Procura di Venezia e dagli agenti del Corpo forestale di Treviso l’ideatore di un illecito traffico di rifiuti, che avrebbe fruttato una fortuna milionaria (in euro, s’intende) a lui e a chi lavorava con lui. Ci sono le ditte che avrebbero dovuto sbarazzarsi dei rifiuti affidandosi ad onerosi impianti tecnologici, ma che grazie a formulari che ne declassavano la pericolosità e alle analisi chimiche compiacenti, potevano invece conferirli a prezzi di saldo alla C&C. C’è, naturalmente, Cappelletto che, da parte sua, faceva la cresta sulle spese di inertizzazione dei rifiuti, trasformandoli seduta stante e senza trattamenti di legge in materiali per l’edilizia: la C&C ha sede legale a Mestre e centri di lavorazione a Malcontenta (Venezia) e a Permunia (Padova). E poi, ci sono i mediatori, che rivendevano questi materiali come regolamentari, a prezzi elevati, quando invece - secondo quanto sostiene l’accusa - non solo erano zeppi di nichel, metalli pesanti, idrocarburi, piombo (trovati dalla Forestale anche in quantità centinaia di volte superiori ai limiti), ma erano pure del tutto inappropriati per sostenere il peso di opere edili, esponendole così a rischio cedimenti. Se su alcune delle imprese che conferivano i rifiuti o li acquistavano "resuscitati" in materie prime gli accertamenti sono ancora in corso - Ventotto gli indagati - un anno di indagini della Forestale hanno per ora convinto il gip Manduzio ad arrestare sette persone. Oltre all’imprenditore mestrino, in manette è finito il chimico trevigiano Alessandro Musacco, accusato di aver falsificato le analisi sui rifiuti trattati, permettendone il declassamento; c’è poi il padovano Paolo Salvagnin, il geometra che con la sua impresa aveva vinto l’appalto per il livellamento del terrapieno della tratta dell’Alta Velocità ad Arino di Dolo, finita sotto sequestro. Imbonimenti come discariche, a Mestre come per il cavalcavia Camerini di Padova, un parcheggio a Granze e una strada a Ferrara e in decine di altre opere. Agli arresti sono finiti anche i titolari della Li-ving&Building Sri, impresa accusata di aver "consigliato" più volte i prodotti di Cappelletto; Luigi Garavini, imprenditore che conferiva i fanghi nei suoi cantieri; e, infine, Loris Conti, riminese procacciatore di affari, che metteva in rapporto le imprese che dovevano smaltire i rifiuti con le aziende di Cappelletto (coinvolta anche la Digamma, altra società utilizzata dal "mercante" per i suoi affari) e queste con le ditte impegnate nei lavori edili. L’inchiesta è nata dagli esposti degli abitanti di Malcontenta, preoccupati per le polveri che uscivano dallo stabilimento e da racconti di cani morti dopo aver bevuto acqua nelle vicinanze, e da alcune segnalazioni di tecnici della Provincia di Padova, che si erano insospettiti nel corso di alcune normali visite di controllo nei cantieri della zona: evidente, già ad una prima vista, la scarsa qualità dei materiali utilizzati. L’indagine - secondo quanto ricostruito dalla Procura e dal gip Manduzio - ha permesso di scoprire che non solo nell’"impianto a regime semplificato" di Cappelletto arrivavano rifiuti che non era autorizzato a trattare, ma anche che la loro inertizzazione non avveniva quasi mai. Nel corso di alcuni controlli, i forestali non hanno trovato traccia di materiali di uso comune come la sabbia, che dovrebbe essere presente a quintali in simili impianti, costituendo la materia più importante per riportare i rifiuti a nuova vita "edile". Alle richieste di chiarimenti, l’imprenditore replicava di avere giusto appunto appena finito la scorta. Oppure rifiutava di sottoporre i carichi che uscivano dallo stabilimento ad analisi, sostenendo che trattandosi di materie prime non potevano soggiacere alla normativa sui rifiuti. [Roberta De Rossi]